Povera Italia: tutti a giocare di sponda mentre la ripartenza ha purtroppo il freno a mano tirato…
Il Governo? Separati in casa. L’opposizione? Alleanze difficili da digerire. La Giustizia? Ondivaga. E Conte? Si è montato la testa
06/07/2020
di Mauro Castelli
Quante volte, da un paio di mesi a questa parte, abbiamo sentito parlare di ripartenza? Un giorno sì e l’altro pure. D’accordo, le sfide che il nostro Paese si trova ad affrontare - devastato da un crollo senza precedenti dell’economia (la nostra, certo, ma anche quella di tutti i maggiori Paesi industrializzati, la qual cosa aggrava fortemente il processo di ripresa mondiale) - fanno rizzare i capelli anche a coloro che per via dell’età li hanno già persi per strada. In effetti il Pil è letteralmente precipitato, i consumi hanno registrato una battuta d’arresto da cardiopalma, il turismo si trova con l’acqua alla gola per via delle defezioni estere e via di questo passo.
Parallelamente, in moltissimi, hanno perso il lavoro e un altro mezzo milione nemmeno più lo cerca. Insomma, non c’è una luce di speranza nel nostro tormentato orizzonte, se non le toppe rappresentate da un errato senso di assistenzialismo. Ma presto la cuccagna sponsorizzata a suon di debiti (quelli sì che viaggiano a mille) finirà.
D’altra parte mica è stato facile accontentare tutti. In ogni caso, se vogliamo essere onesti, il Governo - strattonato da destra e da sinistra, da sopra e da sotto - ha cercato di tamponare alla belle e meglio le falle di questa crisi pandemica - purtroppo malata anche di populismo, sovranismo e soprattutto di incompetenze - con decreti a ripetizione. Supportati da promesse da marinaio relative a incentivi a pioggia mal indirizzati, nonché prediche elargite da figure che, professionalmente, non stanno né in cielo né in terra. E poi commissari e ancora commissari a occuparsi dell’emergenza e delle mascherine, degli stanziamenti per l’acquisto di monopattini elettrici e poco ci manca - in abbinata ad altre amenità del genere - dei… calli dei vicini. Dimostrando, se mai ce ne fosse stato bisogno, che in molti casi i politici di turno non sono stati all’altezza.
A margine, c’era da aspettarselo perché gli italiani hanno sempre qualcosa da ridire, sta arrivando anche lo tsunami rappresentato dal lavoro a domicilio, il cosiddetto smart working (in questo periodo gli inglesismi tirati in ballo a ripetizione - scusate lo sfogo - mi hanno fatto venire l’orticaria. Perché la lingua di Albione per i giornalisti rappresenta uno status, e chi se ne frega se poi non sanno parlare nemmeno l’italiano).
Sta di fatto che, non appena è stato deciso a furor di popolo di far lavorare una buona parte dei dipendenti da casa, si è gridato al miracolo, in quanto in questo modo si promuoveva la libertà e il benessere del personale (si sta parlando, anche se ci sembra un numero esagerato, di otto milioni di persone).
Ora, trascorso un centinaio di giorni, tutti a lamentarsi, in quanto avere davanti un tablet abbinato a una bibita o a una tazza di caffè sta provocando chissà quanti sconquassi psicofisici: affaticamento visivo, problemi muscolari, danni da connettività costante, noia pericolosa, addirittura forme di burnout (ovvero un processo stressogeno). Ma stress non ci sarebbe forse stato a prendere i mezzi pubblici, a rapportarsi con certi dementi che della mascherina e delle distanze di sicurezza non vogliono nemmeno sentir parlare, addirittura a rimanere senza lavoro? Suvvia, cerchiamo di essere seri una volta tanto.
Poi c’è un altro aspetto che ha condizionato i nostri giorni segnati dalla conta dei morti e dei contagi. È quello rappresentato dai virologi, dagli infettivologi, dagli immunologi e dai ricercatori, passati in men che non si dica dall’anonimato alle luci della ribalta, in questo rimpiazzando la pletora di chef che da diversi anni ci stavano veramente mettendo a dura prova gli attributi. Tutti peraltro a raccontare storie diverse, contraddittorie. Tanto per mettersi in evidenza. Peraltro litigando l’uno con l’altro. Anche se, quando ci si trova ad affrontare l’ignoto (leggi ovviamente il Covid-19), imbroccare la strada della verità è come azzeccare un terno al lotto.
E che dire degli imprenditori, alle prese con un crollo produttivo da far venire i brividi? Anche qui ognuno a sostenere una propria ricetta. L’uno ad esempio battezzando il blu (ovvero la tecnologia) e l’altro adottando il verde (alias l’ambiente), che a detta di molti sono i due veri motori della ripresa. Sfortunatamente, anche in questo caso, il fascino delle telecamere riesce a tirare fuori il peggio di ciascuno di noi, in qualsiasi campo si adoperi. E guai quando è lo Stato in prima persona a volersi occupare delle aziende. Uno tsunami di passi falsi. Basti pensare alla voragine rappresentata dalla insensata gestione della crisi dell’Alitalia, legata a maglie strette a miliardi di euro buttati al vento. Eppure si continua su questa strada disastrata come se niente fosse.
Dulcis in fundo, ma si fa per dire, i politici. Una gabbia di senza arte né parte capaci soltanto di blaterare al vento, cercando di far girare le folate nella loro direzione. Giusta o sbagliata che sia, poco importa. L’importante è salvare il cadreghino, che peraltro vale una barca di quattrini, e magari anche i loro vitalizi: avete visto cosa è successo ultimamente? Roba da vergognarsi, ma evidentemente questa parola non rientra nel vocabolario dei parlamentari.
Politici, si diceva. Una banda di sprovveduti che metterà in serio imbarazzo gli italiani chiamati alle urne a fine settembre. Vogliamo citare qualche nome? E allora partiamo dal presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, l’uomo passerella in pochette, che evidentemente si è montato la testa e crede - purtroppo sbagliando - di essere diventato il salvatore della patria. Anche se, a voler essere obiettivi, non si sa come faccia a riuscire a tenere a galla un Esecutivo da separati in casa.
A seguire l’acculturato Gigino Di Maio, quello del “Coronavairus” e delle cantonate geografiche, che a sua volta ritiene che senza di lui potrebbe scatenarsi il diluvio. Peccato che si limiti, in abbinata ai suoi frazionati Cinque stelle, a bloccare imperterrito tutte le grandi opere, fermi restando i gravosi distinguo sugli aiuti europei. Sui quali blatera (a vanvera?) anche il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, che alla fine nessuno dei suoi seguaci di partito sembra realmente voler ascoltare.
Men che meno il fuoriuscito Matteo Renzi, che furbescamente continua a giocare la carta dei ricattini politici, e sinora l’ha spuntata, ben sapendo che i suoi voti al Senato risultano determinanti. A sua volta l’altro Matteo, che di cognome fa Salvini, è riuscito con la sua ambigua prosopopea (quando si sta per affogare, tutti, ma proprio tutti, dovrebbero imparare a remare per il verso giusto) a mangiarsi una barcata di consensi. In quanto gli italiani di difetti ne avranno tanti, ma non sono più gli sprovveduti di una volta.
Sullo scranno di quelli che, si fa per dire, contano (le altre prime guide di partito valgono meno del due di picche) troviamo poi Giorgia Meloni, sempre più presa dal suo immenso, logorroico ego; ego che risulta - repetita iuvant - inversamente proporzionale alla sua altezza. Mentre Silvio Berlusconi, in leggerissima zona recupero di consensi in mezzo a questo marasma, cerca di barcamenarsi - da dietro le quinte e facendo parlare il suo portavoce Antonio Tajani - all’insegna del buon senso. Ma ormai, lo ripetiamo da tempo, la sua carriera politica è vicina al capolinea.
Il tutto sullo sfondo, non certo roseo, di una magistratura in chiaroscuro: con Luca Palamara, già prima guida dell’Anm, intercettato mentre le sparava grosse sul leader della Lega, ma anche con il “riesumato” Amedeo Franco che, in merito alla condanna del Cavaliere del primo agosto 2013 (processo che lo aveva visto relatore di Cassazione), aveva parlato di sentenza pilotata. Non chiacchiere da corridoio, peraltro, ma registrazioni. E allora come la mettiamo con la riforma della Giustizia?
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