Brexit: una nuova shock economy
Effetti negativi del neoliberismo quali altrettante occasioni del suo ossessivo pervicace riaffermarsi
26/06/2016
di Andrea di Furia
Davvero interessante seguire i commenti a caldo dell’evento Brexit preso a sé: tra chi esulta e chi paventa. I primi si riferiscono alla dimensione politica riconquistata sull'inferiore piano nazionalistico, i secondi alla dimensione economica caotizzata sul superiore livello mondiale.
E tuttavia nessun commentatore ha approcciato il tema dal punto di vista strutturale sociale tridimensionale, che individua il fallimento dell’Europa moderna nella mancanza di un punto di vista culturale maturo - la terza dimensione operante anche se inosservata – impossibilitato ad imporsi alla predazione economica e al populismo nazionalista per la mancata strutturazione equilibrata e armonica a 3D autonome del sistema sociale moderno.
Da questo punto di vista tutti i più bei “contenuti sociali” riferiti all’Europa (culturali, politici ed economici) non possono avverarsi perché mancano i 3 corrispettivi “contenitori sociali” - che sintetizziamo per intenderci in Mercato, Stato e Scuola – in cui depositarsi, germogliare, fogliare, fruttificare e seminare senza mescolarsi gli uni con gli altri. Commistione impropria e inopportuna che nell’attuale sistema sociale squilibratamente strutturato a 1D prevaricante sulle altre due comporta lo loro feroce concorrenza, opposizione e sopraffazione.
Il caso Brexit ne è esemplare caratterizzazione: restare nella UE, il cui contenitore sottostante unilaterale è il neoliberistico dogmatico Mercato voleva dire accettare perdite di sovranità dello Stato. Attenzione: anche con Margaret Thatcher, nel 1983-84, la Gran Bretagna aveva perduto copiose parti di Stato a vantaggio del neoliberistico Mercato, ma qui c’era ancora l’illusione dell’autodeterminazione nazionale.
A 33 anni di distanza questa illusione non c’è più perché ora è la UE - un organismo statale che la Gran Bretagna pur approffittandone spudoratamente ha sempre visto come estraneo - a chiedere questa medesima ulteriore rinuncia.
Torna dunque nuovamente la competizione cieca e feroce, di pancia, tra Stato-nazione e Mercato-sovranazionale. Che succede allora se li mettiamo nello stesso contenitore sociale? Ad esempio nel contenitore sociale Stato, come hanno voluto i “leave”? o nel contenitore sociale Mercato, come avrebbero voluto i “remain”?
Ebbene, in entrambi i casi si accende un conflitto senza esclusione di colpi per la supremazia dimensionale: esattamente quello che ci attende nei prossimi giorni e di cui già possiamo cogliere prodromi sintomatici.
Fatta questa premessa possiamo affrontare un dato di fatto comune a tutti i commentatori, che correttamente nel sintomo “fallimentari politiche economiche neoliberiste europee” individuano la causa del malcontento che ha portato alla Brexit.
Curioso notare, però, che mentre i “leave” colpiti sulla propria pelle sparano ad alzo zero sul neoliberismo, i “remain” ammettono sì qualche difetto a parole ma poi fanno un distinguo che la dice lunga: danno la colpa dell’insufficiente crescita – il loro ossessivo mantra - alla eccessiva timidezza dei Governi nel percorrere il radioso cammino imposto alla redenzione sociale terrestre dalle messianiche dottrine neoliberiste.
Per costoro, in soldoni, la UE si è datasì una moneta economica unica ma non un Governo politico unitario corrispondente e adesso la paga con lo shock economico e la prospettiva di un effetto domino di exit che la riporta ai rischi delle due guerre mondiali dopo un settantennale periodo di pace.
Sarebbe interessante vedere sia i paralleli tra i 70 anni di durata della Russia bolscevica (1917-1989) con i 70 anni dell’Europa postbellica (1944-2016), sia il 1983 thatcheriano come prodromo della Brexit di 33 anni dopo, ma qui ci limiteremo all’esame della perniciosità del neoliberismo in un sistema sociale strutturato a 1D prevaricante sulle altre due.
Da una parte è sintomatico che proprio da uno degli alfieri del neoliberismo - per sperimentare il quale nell’ultimo secolo e mezzo sono stati innalzati e affossati dittatori in tutto il mondo, come ci rammemora Naomi Klein nel suo Shock Economy – che proprio dal Fondo monetario internazionale (FMI) se ne dubiti una sopravvalutazione.
Neoliberismo: sopravvalutato?, appunto, è un articolo a firma del vice-capo economista del Fondo monetario internazionale Jonathan Ostry (+ due autorevoli colleghi) secondo il quale: «…invece di produrre crescita, alcune politiche neoliberiste hanno accresciuto la diseguaglianza, mettendo a rischio un’espansione durevole».
Riccardo Staglianò, commentandolo su Venerdì di Repubblica, rileva che: «Le due politiche rivelatesi controproducenti sono i pilastri dell’ortodossia economica degli ultimi tre-quattro decenni. Da una parte la liberalizzazione dei capitali che si spostano senza intralcio nelle nazioni dove le occasioni sono più ghiotte. Dall’altra il consolidamento fiscale, meglio noto come austerity, ovvero la convinzione che quando un Paese è indebitato deve tagliare subito la spesa pubblica».
Circa il primo punto gli economisti del FMI hanno rilevato che 1 volta su 5 un improvviso afflusso di capitali s’è trasformato (in 30 casi, sui 150 esaminati dal 1980 ad oggi) in altrettante crisi. E circa il secondo punto siamo quasi agli stessi livelli, per quanto riguarda la creazione di antisociali e forti disuguaglianze.
Riccardo Staglianò, riporta queste precise parole: «…le politiche di austerità non solo generano sostanziali costi di welfare dovuti a distorsioni sul lato dell’offerta (salari e flessibilità, ndr), ma danneggiano anche la domanda, peggiorando così la disoccupazione. (…) Nella pratica una riduzione della spesa pari a 1 punto percentuale del Pil fa crescere la disoccupazione di lungo periodo dello 0,6% e aumenta di 1,5 punti l’indice Gini di disuguaglianza (...nella distribuzione del reddito)».
Morale della favola: Xe pèzo el tacòn del buso, il goldoniano "è peggio il rattoppo del buco".
E tuttavia l’autocritica si ferma sùbito al livello superiore! L’economista-capo Maury Obstfeld, il superiore del vice-capo Ostry, minimizza: «Il paper è stato ampiamente malinterpretato».
E qui con la negazione dell’evidenza che riafferma l’intoccabilità del dogma neoliberista nelle alte sfere, il richiamo alle tesi di Naomi Klein si fa sempre più forte.
Brexit è pertanto la golosa occasione di una tale shock economy che può permettere ai furbetti del neoliberismo di imporre quel risultato che ancora manca a dimostrazione delle loro (al momento astrologiche) tesi: ossia che occorra ancora più crescita, ancora più libero Mercato.
E allora perché non approfittarne per uniformare definitivamente le politiche fiscali della UE, perché non togliere ancora più sovranità ai Paesi rimasti prima che le popolazioni attivino altri inopportuni e indesiderati referendum? Già si usa la Brexit contro Podemos in Spagna, già si parla di rendere più forte l’Europa prima della sua possibile disgregazione e il ritorno ad un clima pre-guerre mondiali.
Tutto ciò non è profetico, ma è banalmente ovvio: ovvio come il martellare dei media sempre più insistente sulle paure delle popolazioni... per ottenere vantaggi prima impensabili, approfittando così di quella paralisi delle coscienze nelle masse che emotivamente fa sempre sèguito ad eventi come questo.
Viviamo da Analfabeti sociali di ritorno in un sistema sociale a una dimensione (1D) prevaricante sulle altre due, non dimentichiamolo mai.
Quindi il Mercato - fino ad ora incontenibile grazie alla resa delle elite politico-statali in crisi ideologica alle elite bancarie in rampante frenesia dogmatica - è ancora molto, molto lontano dall’essere sconfitto da un incidente di percorso che [visti i fatti storici riportati da Naomi Klein su cosa è successo nell’ultimo secolo e mezzo] sarà astutamente utilizzato per un altro passo in avanti dell'elitario neoliberismo arraffa tutto.
Perciò occhio alle uscite delle Agenzie di rating e al balletto dello Spread, occhio all’andamento delle Borse e all’imperversare di Fondi spazzatura e Speculatori, occhio a FMI, BM e BCE, occhio agli accordi Ttip e Ceta, occhio al lavoro ai fianchi dei movimenti anti-euro e anti-Bankeuropa, occhio al "non si torna più indietro" dei Parlamenti ancora a 90°, occhio a eventi terroristici che inspiegabilmente beffano le intelligence europee, occhio a delitti altrettanto inspiegabili come quelli della compianta deputata britannica laburista Helen Joanne Cox.
Oggi non serve proprio più essere complottisti o catastrofisti per prevedere i prossimi eventi, così come non serve a nulla essere a favore del “leave” o del “remain” quando il “contenitore sociale” strutturale del sistema attuale continua tragicamente a restare a 1D prevaricante sulle altre due [e non lo si trasforma in un “contenitore sociale” strutturale a 3D equilibrate e tra loro autonome].
In questa monodimensionalità sociale strutturalmente prevaricante (a 1D) il Mercato-finanza globale è alla costante ricerca della definitiva sostituzione dello Stato-nazione quale “contenitore sociale” unico.
E in questa lotta tra l’emergente/dogmatico Mercato globale finanziario e il decrepito/esausto Stato-nazione ideologico non può esserci pace tra gli ulivi fino a che… non ne resterà uno solo.
Quindi, fino a che l’obiettivo sociale sarà unilaterale - invece del consapevole perseguire la realizzazione dell'equilibrata Società tridimensionale dei tempi nuovi, che richiede uomini veramente liberi nella Scuola, egalitari nello Stato e fraterni nel Mercato – fino a che l’obiettivo sociale sarà quello volto a sostituire l’unilaterale inferno burocratico ottocentesco dei Governanti democratici e dei loro sudditi con l’unilaterale millenario paradiso in terra neoliberista dei Padroni speculatori e dei loro schiavi… ne vedremo e subiremo delle belle.
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