La sovranità torna al centro
L’asse politico che sfida la globalizzazione
24/03/2025
di Giacomo Zuffi

Dall’altra parte dell’oceano, Donald Trump si prepara a un secondo mandato con una squadra fortemente identitaria, costruita attorno a figure simbolo del conservatorismo americano e della battaglia per la sovranità nazionale. In Europa, Giorgia Meloni guida l’Italia con un governo che, sebbene con sfumature diverse, si muove sulla stessa lunghezza d’onda. Le analogie tra le due leadership non si limitano allo stile comunicativo o alla retorica patriottica: sono profondamente radicate nelle scelte strategiche e nella visione del ruolo dello Stato nella società e nell’economia. Il vento del sovranismo, già presente in molte democrazie occidentali, sta diventando una corrente dominante, ridefinendo priorità, alleanze e modelli di governance.
Sia Trump che Meloni hanno costruito le proprie piattaforme politiche sulla difesa degli interessi nazionali, sulla necessità di riportare la produzione nei confini del proprio Paese e sul recupero di una sovranità decisionale erosa da decenni di globalizzazione. Le nomine chiave dei loro governi ne sono la testimonianza più concreta. In Italia, Giorgia Meloni ha scelto come sottosegretario alla Presidenza Alfredo Mantovano, figura giuridica solida e conservatrice, con una visione chiara su ordine, sicurezza e difesa dell’identità nazionale. Dall’altra parte, Trump si affida a Susie Wiles, stratega efficace e risoluta, emblema della sua macchina elettorale e garante della coerenza tra visione politica e gestione del potere.
Anche sui temi economici le affinità sono evidenti. Meloni ha affidato il ministero dell’Economia a Giancarlo Giorgetti, esponente della Lega, favorevole a un’economia reale forte, a un sistema produttivo meno dipendente dall’estero, e a riforme che diano respiro a imprese e famiglie. Trump, nel suo nuovo corso, si affida a Scott Bessent, uomo di finanza e libero mercato, ma anche attento alla necessità di riportare investimenti strategici in patria. Entrambi i leader condividono l’idea che la crescita non debba più dipendere esclusivamente dai meccanismi globali, ma vada coltivata internamente, con misure che stimolino la domanda interna e proteggano le industrie nazionali.
La difesa è un altro asse portante di questa visione sovranista. In Italia, il ministro Guido Crosetto è uomo di industria e di relazioni internazionali, fortemente impegnato nel rafforzamento delle capacità strategiche italiane e nella promozione di una difesa europea integrata, ma autonoma. Negli Stati Uniti, Pete Hegseth rappresenta la versione trumpiana del patriottismo militare: veterano, commentatore, fautore di un esercito forte e indipendente, pronto a difendere l’interesse nazionale prima di qualsiasi agenda globale.
Sul fronte del lavoro, l’impostazione si fa meno ideologica e più pragmatica, ma il messaggio resta coerente: servono meno vincoli burocratici, più flessibilità, più incentivi alla produttività. Marina Calderone, in Italia, ha un profilo tecnico e riformatore; Lori Chavez-DeRemer, negli Stati Uniti, porta con sé l’esperienza dell’impresa e dell’amministrazione locale, proponendo un approccio orientato alla semplificazione e al sostegno del tessuto produttivo.
Ciò che unisce davvero questi due mondi politici è la convinzione che l’Occidente debba cambiare passo. Che l’epoca della dipendenza sistemica dalla globalizzazione, delle delocalizzazioni selvagge e della compressione salariale sia finita. Trump lo dice con lo slogan “America First”, Meloni parla di “interesse nazionale”. In entrambi i casi, l’obiettivo è ricostruire una sovranità economica e politica in grado di garantire stabilità sociale e orgoglio identitario. Non si tratta solo di retorica, ma di una visione che si traduce in politiche concrete: controllo dell’immigrazione, rilocalizzazione industriale, investimenti in difesa, revisione dei rapporti con le grandi piattaforme sovranazionali.
Il sovranismo, dunque, non è più un fenomeno marginale o passeggero. Sta diventando l’architettura portante di una nuova fase della politica occidentale, dove lo Stato torna protagonista e il cittadino riscopre il valore della comunità nazionale. È un cambiamento profondo, che non manca di suscitare critiche e timori, ma che risponde a una domanda reale di protezione, di identità e di partecipazione. E, guardando le scelte dei governi Meloni e Trump, sembra destinato a restare sulla scena ancora a lungo.
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