Se potessi avere 1000 euro al mese…
27/06/2022
di Andrea di Furia
Tutto oggi si misura con il problema del denaro: da una parte partecipiamo della sua bulimia finanziaria (le borse valori, le scommesse dei future, i derivati tossici, il sistema bancario ombra, i paradisi fiscali); dall’altra partecipiamo della sua anoressia economica perché cala continuamente il potere d’acquisto del denaro.
In meno di un secolo, in Italia siamo passati dal “se potessi avere 1.000 lire al mese”, tormentone canoro dell’estate 1939 al “se potessi avere 1.000 euro al mese” oggi, nel 2022.
Il testo della canzone era: “Se potessi avere mille lire al mese, senza esagerare sarei certo di trovare tutta la felicità. Un modesto impiego, io non ho pretese. Voglio lavorare per poter alfin trovare tutta la tranquillità. Una casettina in periferia, una mogliettina giovane e carina tale e quale come te. Se potessi avere mille lire al mese farei tante spese, comprerei fra tante cose le più belle che vuoi tu”.
Da allora è passata un’intera vita umana, oltre 80 anni, e sembra che le cose siano più o meno allo stesso punto. Ma non è così: le 1.000 lire del 1939 valevano più delle mille lire del 2001, quando ancora circolavano assieme ai primi euro. E se esistessero ancora le lire italiane, e le comparassimo agli euro, ci renderemmo conto che anche con le mille lire del 2001 avremmo comprato di più che con le lire del 2022.
Da una ricerca della Fondazione NENS, nel 2001 con 900 lire si pagava appena un caffè, rispetto al 1939 non si viveva certo per un mese. E con il passaggio all’euro il caffè nello stesso anno costava 90 centesimi di euro = 1743 lire.
E' forse cambiata la tazzina di caffè per chi la degusta? No! E’ cambiato il potere d’acquisto del denaro che è sempre inferiore a se stesso di anno in anno. Oggi una tazzina di caffè costa 1,30 euro = 2.517 lire. Dunque, se nel 2001 bastava 1 moneta (900 lire = 0,46 euro) per comperare al bar una tazzina di caffè, oggi, nel 2022, ne servono 3 (0,46 x3 = 1,38)
Questo fenomeno (che con gli stessi soldi si comperano sempre meno merci/servizi nel tempo) viene chiamato inflazione e viene attribuito, come conseguenza, al rincaro generalizzato dei prezzi la cui causa si riconosce in moltissimi fattori senza però distinguere, tra quei fattori, quelli che sono estemporanei (una guerra, l’emergenza sanitaria, la scarsità delle materie prime, la svalutazione monetaria, il rating del Paese ecc.) e quello che è costante, la reale causa originaria: il denaro stesso.
Se noi eliminassimo tutte le concause estemporanee, infatti, rimarrebbe solo il denaro che giorno dopo giorno diminuisce il suo potere d’acquisto. Perché? La risposta è matematica e consegue all’osservazione del fenomeno da dentro, non da fuori: errore di prospettiva grossolano e deleterio per l’economia locale e mondiale.
Se osservo il fenomeno da fuori cosa vedo? Semplificando al massimo: che ad una tazzina corrisponde un prezzo, una moneta, ogni volta che ordino al bar. La cosa che noto è che, anno dopo anno, il prezzo della tazzina aumenta. Mi limito a smoccolare, ma continuo a berla: ne bevo meno perché il denaro ha perso il suo potere d’acquisto anteriore. Dunque attribuisco all’aumento del prezzo il minore potere d’acquisto del denaro.
Se invece osservo il fenomeno da dentro? Letteralmente entrandoci dentro, vedo che mentre il caffè viene consumato ogni volta, il denaro con cui lo si acquista permane nella circolazione economica. La merce si consuma, il denaro no. Il caffè muore nella mia pancia, il denaro non muore: diviene immortale.
Ora se il denaro rappresenta la merce, il rapporto tra merce e denaro è sempre descritto dalla frazione (merce/denaro) = 1/1 , ossia il denaro rappresenta in toto il valore della merce acquistata. Ma se la merce viene consumata e il denaro continua a circolare, perché non scade come la merce che rappresenta, allora il denaro non rappresenta più la merce cui sopravvive, e con ciò altera il prezzo della merce.
Cosa succede alla nostra frazione, infatti, alla seconda tazzina pagata al bar prima di consumarla? Abbiamo (0 caffé/ 1 denaro) + (1 caffé/ 1 denaro) = 1/2; e alla terza tazzina di caffè (quando le prime due sono state consumate e i relativi denari continuano a circolare, ma ancora non ho consumato questa terza tazzina) abbiamo (0 caffé/ 1 denaro) + (0 caffé/ 1 denaro) + (1 caffé/ 1 denaro) = (1 caffé/ 3 denaro) = 1/3 ossia: ora 3 monete (non più una) rappresentano quella merce (il caffé). Vale a dire che per il fatto di essere immortale, il denaro perde per causa propria potere d’acquisto.
Vediamo dalla ricerca della Fondazione NENS che rispetto alle 900 lire della tazzina di caffè del 2001 (= 0,46 euro) la stessa tazzina di caffè del 2022 richiede tre volte tanto denaro (= 1,30 euro).
Dunque non è l’aumento dei prezzi che causa il calo del potere d’acquisto del denaro, ma esattamente il contrario. E’ la perdita del potere d’acquisto del denaro immortale (che non scade mai) a causare l’aumento generalizzato dei prezzi.
Perciò è inutile, nel senso risolutivo, l’aumento del tasso di interesse per domare l'inflazione.
Serve invece dare una scadenza al denaro, altrimenti oltre al suo ripercuotersi come aumento ingiustificato (=antieconomico) dei prezzi il fatto che il denaro lo si possa tesaurizzare (incentivando la speculazione finanziaria, ossia l’albero degli zecchini d’oro del Gatto e della Volpe) e legare la sua reimmissione nella circolazione economica ad alti tassi di interesse comporta un aumento esponenziale dele turbolenze economiche.
ll denaro legato ad alti interessi non è neutro in senso economico: provoca una ripartizione del reddito ingiusta e non collegata alla capacità produttiva, che a sua volta conduce ad una concentrazione di capitale monetario e reale, e con ciò all’attuale monopolizzazione dell’economia.
E tutte le altre concause inflattive? Queste intervengono come effetti secondari, solo per aggravare la perdita di potere d’acquisto. Da più di un secolo si conosce la strada per orientarsi nella soluzione di questa ingiustizia sociale, direi perversa a questo punto, che è causa del caro-vita, dell’aumento del debito pubblico e, non ultimo aspetto, della crescente schiavitù attuale di tutti noi dai detentori mondiali del denaro.
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