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Un mondo di frasi fatte ammala la nostra vita sociale: come uscirne?


28/07/2024

di Andrea di Furia

Se, nell’osservazione sociale, retrocediamo di mezzo millennio ci accorgiamo che la dimensione sociale Economia ha percorso velocissimamente il cammino che l’ha portata al predominio planetario.

Prima, la dimensione Economia non si era ancora emancipata dalla dimensione Politica e dalla dimensione Cultura: dipendeva da esse, era la loro ubbidiente ombra. Oggi le due dimensioni sociali Cultura e Politica sono l’ombra obbediente della dimensione Economia.

Questo passaggio non si è compiuto senza vittime, perché ciò che oggi è ritenuto pratico (ma è un'illusione) ha a che fare solo con l’Economia, mentre quanto pertiene alla Politica è ormai vuota convenzione, mentre ciò che pertiene alla Cultura è ormai vuota retorica, fatta di slogan che non penetrano e corroborano più la realtà sociale.

Un chiaro esempio che nel mondo culturale vivono ormai solo frasi fatte, ce lo mostra con tutta evidenza l’attuale campagna elettorale americana. In essa non sono le Persone ad essere importanti, ma gli slogan. E’ come se invece di scegliere tra due vini (assaggiandoli), scegliessimo la migliore etichetta sulla bottiglia (senza assaggiarli).

Lo slogan di Brother Donald Trump è MAGA (Make America Great Again) vale a dire “rendiamo ancora grande l’America” – come se non lo fosse abbastanza -, mentre quello che le male lingue appioppano a Sister Kamala Harris è Make America Laugh Again.

Slogan che sembrerebbe simpatico, visto che vorrebbe dire “facciamo ridere ancora l’America”, ma le quattro iniziali danno MALA, che in spagnolo vuol dire anche “cattiva”.

Lo slogan vero di Harris è “We choose freedom”, noi scegliamo la libertà. Non buono come quello di Obama (Yes we can), tuttavia vuota frase fatta come quello, visto che la libertà specie in terra americana prima, e poi la sua versione light esportata a chiacchiere nel mondo dopo, si sta spegnendo sempre di più.

Poiché si ragiona su frasi fatte, vuote di incisività concreta, dalla campagna elettorale là si tengono lontani i temi della politica estera americana: altra dimostrazione che la libertà di decidere su certi temi è sottratta agli elettori.

Questo spiega perché tutto deve diventare spettacolo distraente le masse dal pensare davvero dove le porterà quel voto: democratico solo a parole, indipendentemente da chi vince, mai nei fatti.

Gli slogan non scaldano più le masse, ormai abituate alle emozioni forti. Lo vediamo persino nelle scenografie inaugurali delle Olimpiadi francesi dove i vari quadri iconografici ricorrono, neanche tanto velatamente, ad un satanismo irridente il sacro per entusiasmare chi guarda e lanciare messaggi subliminali che trapassano lo schermo della razionalità e accendono l’istinto più basso.

In America l’attentato a Trump ha riacceso l’entusiasmo dei suoi elettori, ma anche se nei prossimi 3 mesi riesce a scampare a nuovi attentati - gli imitatori che ambiscono al palcoscenico mediatico sono in aumento ovunque, e la protezione dei presidenti, non solo negli USA, lascia davvero a desiderare tanto è scontatamente facile prenderla per il naso - la controparte Dem ha ancora molte carte da giocare (problemi fiscali, penali, etici) e soprattutto l’arma della paura mediatica: cosa che ci fa pendere l’ago della vittoria finale verso il piatto di Kamala, a scorno di Donald.

Arma efficacissima, che abbiamo visto usare spregiudicatamente durante le elezioni in Francia contro il movimento di Marie Le Pen, dato ossessivamente per vincente (e non ci sorprenderebbe se fossero sondaggi finti pilotati ad hoc) prima del voto, catalizzando così i voti degli indecisi non “verso”, ma “contro”: indecisi che gli slogan elettorali non riescono più a muovere… mentre la paura ci riesce benissimo.

Se si è compreso che il problema sociale non sono i rappresentanti del popolo democratico (da noi Schlein e Meloni), ma le vuote frasi fatte che restano alla superficie delle cose senza il minimo potere di modificarle (guarda la burocrazia, le mafie, l’indigenza, il precariato, la guerra ecc.)… dove troviamo la strada per modificare questo antisociale stato di fatto?

Intanto liberando la Scuola dalle catene dello Stato e del Mercato: come l'Economia dalla Politica e dalla Cultura, anche la Persona singola (Scuola) si è emancipata da Comunità (Stato) e Territorio (Mercato). E la libertà culturale di ogni singola Persona è l’unica diretta libertà sociale da perseguire seriamente ora, le altre libertà, politiche ed economiche, sono solo vuoti slogan.

Ciò è possibile facendo la “sociale” raccolta differenziata di ciò che è economico, politico e culturale, ovvero cessando di farne l’”antisociale” raccolta indifferenziata (oggi nel solo cassonettto Mercato) che ci sta portando con grande inosservata ottusità al Terzo conflitto mondiale... tra un’adrenalinica elezione e l’altra.

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